È questione di vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Un momento in cui quello che è sempre stato, tutto d’un tratto, è caduto inerme sotto i nostri occhi. Ogni certezza è divenuta confutabile, relativa e varie interferenze hanno spezzato ogni ritmo. Ma arriva l’ora ti di tirare le somme. Bisogna ricominciare, e si spera con nuovi criteri. Mutando e correggendo per il meglio. Perché non tutti i mali vengono per nuocere.
Questa è la parabola della Moda post COVID-19. Una Moda che riscopre di essere stata fino ad ora, schiava di ritmi impossibili e di mere operazioni di economiche a discapito di arte e creatività. Ma ora basta. È giunta l’alba. Un alba purtroppo con un sole rosso; che ha un sapore amaro. Dura, ma pur sempre con un futuro tutto da riscrivere.
“Noi siamo una comunità e cerchiamo di stare uniti e di dare tutti il nostro contributo, in particolare parlo di Milano e voglio ringraziare un grande milanese, Giorgio Armani, ”Re Giorgio” come lo chiamano in tanti. Ieri ha annunciato che la prossima sfilata di Armani Privé verrà fatta a Milano e non più a Parigi, dove è sempre stata fatta. Così si fa, grazie Giorgio”.
Beppe Sala ringrazia Giorgio Armani, sindaco di Milano, per l’atto d’amore tanto simbolico quanto materiale: a Gennaio 2021 la sfilata della collezione Armani Privé sarà a Palazzo Orsini in via Borgonuovo a Milano e non nella capitale francese. Ritorno alle origini.
C’è bisogno di rinnovamento, c’è bisogno di riscrivere i tempi, c’è bisogno che la Moda abbia vita propria e segua la sua vocazione artistica e non quella economica, che non è mai astata inscritta nel suo DNA. Il fashion system approfitta della crisi creata dal Coronavirus nel mondo, per ripartire con una ”nuova veste”.
Dalla lettera aperta di Re Giorgio in cui critica il sistema super consumistico che si era imposto e chiede di riorganizzarsi in favore di una Moda da rispettare, vera, senza tempo e soprattutto contro il fast fashion definito immorale a spettacolarizzante: ”Il declino del sistema moda, per come lo conosciamo, è iniziato quando il settore del lusso ha adottato le modalità operative del fast fashion con il ciclo di consegna continua, nella speranza di vendere di più… Io non voglio più lavorare così, è immorale. Non ha senso che una mia giacca, o un mio tailleur vivano in negozio per tre settimane, diventino immediatamente obsoleti, e vengano sostituiti da merce nuova, che non è poi troppo diversa da quella che l’ha preceduta. Io non lavoro così, trovo sia immorale farlo.”
Ad Alessandro Michele che traccia il futuro della sua Gucci, presentando il nuovo savoir-faire organizzativo: ”Non faremo più cinque sfilate all’anno, ci saranno due grandi appuntamenti. Bisogna riprendere il tempo di fare le cose bene. In rispetto del Made in Italy che va accarezzato e delle persone che lavorano in questa azienda”.
Una vera e propria rivoluzione delle tempistiche che guarda però ad un ritorno al passato e trova eco nel lavoro di Azzedine Alaïa, che per anni ha presentato le sue creazioni senza scadenze e a seconda delle proprie esigenze.
Rimanere più tempo appesi nelle boutique non è uno scopo unicamente di Armani o di Michele a loro si aggiunge la voce di Dries van Noten, l’amministratore delegato di Lane Crawford, Andrew Keith e l’amministratore delegato di Altuzarra, Shira Sue Carmi. Tutti progettano un ripensamento del calendario della Moda e delle fashion weeks; per renderlo più funzionale.
“Non è normale comprare abiti invernali a Maggio”, dichiara van Noten. “Non è normale lavorare con il team di progettazione su una collezione che arriverà un mese e mezzo prima che sia scontata del 50%.”
Ad eco le voci di Nordstrom, Bergdorf Goodman, Holt Renfrew, Mytheresa, Harvey Nichols, Tory Burch, Pierre-Yves Roussel, Marine Serre, Craig Green, Gabriela Hearst e Mary Katrantzou. Allora si riparte ma ognuno con i propri tempi.
Luca Caputo
In alto: foto tratta da Franceinfo.
Galleria: foto tratta da Amina-mag, Pleasurephoto, Vogue.
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