Donna non si nasce, lo si diventa; scriveva Simone De Beauvoir. Lo si diventa sfidando se stessi, curando le proprie attitudini e portandole a fiorire. Lo si diventa infrangendo certe catene, quelle strette dalla società, che intrappolano la donna in certi cliché. Una battaglia, quella dell’emancipazione femminile, che si sta scrivendo; ancora lontana dalla fine ma che colleziona sempre più traguardi. Vittoria Maria Podo è figlia di quegli ideali, ma è molto di più. Il rivolgersi direttamente all’intervistato spezzando la finzione, regalando quasi il realismo di un’intervista televisiva e il ricamare con citazioni che rivelano il suo background culturale, sono alcuni dei segni del suo stile, nelle celebri interviste per Tête-à-tête. Oggi leggeremo tra le righe di quelle interviste , scoprendo chi si cela; mettendo a disposizione la sua arte a favore del lettore.
Il ritratto in alto, opera di Nico Pedaci. Sguardo intenso, quasi in contrasto con la delicatezza del volto, una posa che ricorda Hillary Clinton sulla copertina del suo libro Living History. Ma a differenza di Hillary, al posto del suo carismatico sorriso, ci sono le labbra ferme e strette di Vittoria. Una sguardo deciso per un futuro da scrivere. Vittoria, scusami per la domanda magari troppo pretenziosa, da ragazza ambiziosa e capace quale sei, quali sono i tuoi obbiettivi per il futuro e che visione hai della vita?
Ciao Luca, noto con piacere che la prima domanda che mi porgi va già sul pregnante e sul profondo,
pertanto cercherò di risultare il meno pesante possibile. Andando avanti con i miei studi, la mia visione
della vita, e di conseguenza del mio futuro, vanno sfumandosi e ramificandosi sempre di più: spesso arrivo
a darmi delle risposte totalmente paradossali rispetto a ciò a cui tendevo poco tempo prima. Quello che
però rimane sempre costante, e che rappresenta un po il prius di tutte le mie azioni, è la presenza ”dell’altro” in quello che faccio e nelle decisioni che prendo. Lo studio dei comportamenti e dei modi di essere delle persone, nel singolo e nel sociale, mi ha portato a fare delle scelte inconsapevolmente coerenti con
una linea di condotta che però non mi davo a priori. Per questo mi immagino, in futuro, occuparmi di
lavoro, di istruzione, di diritti in positivo e delle loro tutele giuridiche e non. È forse anche per questo che
da tempo collaboro con te per le interviste: immedesimarmi nei personaggi che mi proponi è
un’operazione, oltre che fisiologica per me, estremamente interessante e sempre piena di sorprese.
Politici, artisti, personaggi mondani e business man: quale donna della storia inviteresti per un caffè e da quale uomo accetteresti un invito a cena?
Prenderei molto volentieri un thè con Maria Ferres, chissà che non abbiamo qualche consiglio da scambiarci. Andrei a cena, invece, con Jacques Lacan, più che per chiedergli spiegazioni sui suoi studi, per chiedergli le conclusioni a cui è arrivato.
Hai accumulato esperienze di vario genere, interpretato vari ruoli nella tua vita privata e pubblica e raggiunto vari traguardi. Quanto la tue esperienze, a Le Grand Mogol ora, e a L’Interdit, prima, ti hanno influenzata e cambiata?
Avere l’opportunità di conoscere e dialogare con persone e personaggi che hanno affermato la propria presenza in un campo al contempo seducente ma (apparentemente) blindato come quello della moda, mi ha permesso di mettermi di fronte ad una consapevolezza che a dirsi è molto banale, ma della quale convincersi è una delle sfide più complesse che noi giovani affrontiamo: se lo si vuole, si può arrivare dovunque. Uomini e donne che, attraverso il ripercorrere delle loro storie, sono testimonianze che dal nulla può nascere qualsiasi cosa, e questo vale per tutti i settori lavorativi che si intraprendono. Trattare di moda, poi, aumenta ancor di più il fascino dell'”onere” che portiamo avanti.
Le tue interviste sono seguite e intriganti. Nonostante la tua presenza sia marcata, lasci molta libertà di espressione al personaggio che intervisti, riuscendo a coinvolgere e a fissare punti d’incontro con il lettore. Hai un’intervista a te cara o un personaggio che ti ha particolarmente colpito?
Sono convinta che in un’intervista il dovere di chi la porta avanti sia quella di far risaltare l’intervistato, centrando i punti in cui egli si trova maggiormente a proprio agio in modo da ottenere un ritratto quanto più fedele possibile della persona, con il grado di intimità che sarà egli stesso a scegliere. L’intervista a me più cara è quella concessaci dall‘ex dipendente di una celeberrima firma della moda che ha deciso di licenziarsi a causa delle opprimenti condizioni lavorative in cui operava. Ogni tanto rileggo quell’intervista e mi ravviso di quanto (per rimandare alla risposta precedente) sul lavoro ci sia bisogno di tutele più efficienti e sicure. Farlo in realtà di multinazionali e di grandi firme è certamente una sfida.
Cosa ti aspetti da questa pubblicazione e cosa suggeriresti per migliorarla e aiutarla ad accrescere; oltre al tuo fondamentale contributo in Tête-à-tête, con il quale non smetti, periodicamente, di deliziarci.
Per il futuro di Le Grand Mogol vedo una realtà di giovani che racconta la moda secondo nuovi paradigmi, che spaziano dal sociale, al politico e allo storico, con una narrazione competente e svecchiata dai soliti cliché di un mondo che ha spesso paura dell’innovazione e si lascia troppo condizionare dalle logiche di mercato. I suggerimenti per accrescerla e migliorarla sono di non aver paura di osare e di essere sempre pronti a nuovi lanci, paure che Luca, d’altro canto, non ha mai avuto.
Luca Caputo
In alto: ritratto di Nico Pedaci.
Galleria: ritratto di Nico Pedaci, foto tratte da luxuo.com.
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